Nicola Todde

Appena arrivati all’ingresso di Dachau mi sono chiesto dove fossimo arrivati perché non mi pareva di vedere niente di simile ad un campo di concentramento, ma fatti pochi metri ci siamo ritrovati di fronte al cancello dove mi si è gelato subito il sangue di fronte alla scritta Arbeit macht frei , una falsa speranza di ciò che aspettava chi varcava quella soglia.
Una volta entrati nel museo abbiamo trovato stanze con documenti e descrizioni storiche. La stanza che più mi ha colpito è quella dove avveniva lo smistamento dei deportati .Sulla parete la grossa scritta Rauchen verboten, vietato fumare: raccapricciante! Poi ci hanno portato in una sala dove hanno proiettato il documentario che racconta Dachau: tutto documentato perché Dachau è stato il primo campo e il modello per tutti gli altri campi. Appena usciti abbiamo cercato le baracche, che se pur all’interno ricostruite, rendono bene l’idea dello spazio, di come le persone vi stessero stipate come bestie. Poi abbiamo cercato i forni crematori, in fondo al campo, mimetizzati tra la vegetazione e all’interno, pensare alla situazione reale, mi ha fatto venire i brividi. Il momento però in cui mi sono trovato più a disagio è stato all’interno della camera a gas dove ho avuto la sensazione di claustrofobia, sono dovuto uscire in preda all’angoscia, anche se ci avevano detto che quella camera a gas non è mai entrata in funzione. La visita al campo è stata dunque di forte impatto emotivo; lì si riflette molto su ciò che è successo, sulle cause e si esce con un diverso modo di avvicinarsi alla storia passata e presente.


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